
Nel lavoro — soprattutto nei progetti complessi — le issue non mancano mai.
Un problema che blocca un processo, un disallineamento tra aree, una criticità emersa all’ultimo momento.
Quando una issue viene segnalata, spesso si attiva un meccanismo automatico: si cerca subito di chi è la colpa, si usano molte parole, ci si agita. E il presente… svanisce.
Invece, il primo passo dovrebbe essere molto più semplice (e potente): descrivere bene il problema.
Stare nel qui e ora, senza cercare subito una causa. Nominarlo, osservarlo, circoscriverlo.
🔍 Una issue non è solo un problema: è una relazione
Ogni issue è un nodo nel sistema. Non vive da sola.
Anche quando appare come una semplice riga su una tabella, è in realtà un segnale che attiva relazioni: chi è coinvolto, chi ne è impattato, chi può contribuire a risolverla.
Le domande chiave da farsi non sono:
- “Di chi è la colpa?”
- “Perché è successa?”
Ma piuttosto:
- Chi deve essere coinvolto ora?
- Chi deve sapere?
- Qual è la scadenza oltre la quale peggiorerà?
- Serve un’azione locale o un’escalation?
🗺️ Dalla riga al sistema
In molte organizzazioni si usano strumenti come mappe delle criticità, che intrecciano fattori economici, ambientali, operativi, reputazionali. Ma nessuno strumento funziona senza la consapevolezza di chi lo usa.
Perché una issue è un seme: può essere un’erbaccia o un’opportunità.
Sta a noi prendercene cura. Con metodo, ma anche con attenzione.
Come giardinieri: vedere l’insieme, ma lavorare sulla singola pianta.
✨ Il punto non è solo risolvere. È risolvere bene
Facilitare una issue significa accompagnarla nel sistema, affinché chi deve decidere abbia una visione chiara.
Non è solo problem solving. È un atto di centratura collettiva: trasformare un problema in un’occasione di connessione.
